Scritto da David Spagnoletto
Quattro persone salgono su un aereo. Sembrano due coppie qualunque destinate a fare un viaggio qualunque. E invece le quattro persone si sono conosciute solo il giorno prima, perché il loro obiettivo non è trascorre qualche giorno di vacanza, ma dirottare il volo 571 della Sabena.
È l’8 maggio 1972 e sta per iniziare un nuovo capitolo del terrorismo palestinese, che in quegli anni è solito dirottare aerei in Europa come strumento di rivendicazione politica. Sono passati cinque anni dalla Guerra dei Sei Giorni, ne manca uno a quella del Kippur e pochi mesi alla strage alle Olimpiadi di Monaco.
Il mondo è diviso in blocchi (Usa e Urss), eredità del secondo conflitto mondiale e della conferenza di Yalta.
In Italia, tre anni prima si era persa l’innocenza” con le bombe di Roma e Milano all’interno di quella che poi verrà chiamata “la strategia delle tensione”.
Il 7 maggio 1972, Ali Taha Abu Snina, Abed al-Aziz Atrash, Rima Tannous e Theresa Halsa si incontrano per la prima volta, magari stanno discutendo della recente morte di Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dell’omonima casa editrice, dei Gruppi d’Azione Partigiana (una delle prime organizzazioni armate di sinistra della stagione degli anni di piombo) e considerato punto di riferimento dei gruppi armati di estrema sinistra.
I quattro terroristi eseguono le indicazioni di Ali Hassan Salameh, “il Principe Rosso” di Settembre Nero e organizzatore del sequestro: hanno volato dal Libano con passaporti falsi alla volta di Roma, dove gli sono stati forniti passaporti italiani falsi, prima di volare a Francoforte, poi a Bruxelles, dove sono saliti sul volo 571 ancora con passaporti falsi (questa volta israeliani) con destinazione Vienna.
Venti minuti dopo il decollo dalla capitale austriaca, i terroristi prendono il controllo dell’aereo con a bordo 90 passeggeri e 7 membri dell’equipaggio. Il comandante Levy mostra calma e sangue freddo e comunica all’interfono: “Come potete vedere, abbiamo amici a bordo”. Non solo, perché con l’obiettivo di guadagnare tempo, Levy parla con i sequestratori di tutto, anche di sesso.
I dirottatori gli dicono di volare all’aeroporto di Lod vicino a Tel Aviv. Una volta sulla pista, presentano le loro richieste al personale di controllo a terra. Poco dopo, il ministro della Difesa Moshe Dayan e il ministro dei trasporti e futuro presidente Shimon Peres giungono sul posto per supervisionare i negoziati.
Gli israeliani fingono di trattare coi terroristi e accettare la richiesta di liberare 315 detenuti palestinesi, ma nel frattempo danno il via libera a un’unità delle forze speciali della Sayeret Matkal di assaltare l’aereo.
Ventiquattr’ore dopo l’atterraggio dell’aereo, inizia l’“Operazione Isotope”, a cui partecipano anche i futuri premier Ehud Barak e Benjamin Netanyahu. Tutti i commando israeliani coinvolti indossano tute bianche per ingannare i dirottatori facendogli credere di essere tecnici, venuti a riparare il sistema idraulico dell’aereo.
Il blitz israeliano, che dura due minuti circa, libera l’aereo. Ci sono tre vittime, una fra i passeggeri e i due terroristi maschi.
Le terroriste vengono bloccate, una di loro, Theresa Halsa, verrà liberata nel novembre 1983, come parte dello scambio di prigionieri tra Israele e l’OLP dopo la prima guerra libanese del 1982.
Oggi vive in Giordania, dove pochi anni fa è stata raggiunta telefonicamente da un giornalista del Guardian, che le ha domandato se avesse qualche rimpianto. La risposta è stata: “Sì. Vorrei aver fatto saltare in aria l’aereo”.
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