A meno di una settimana dall’“Operazione Arnon”, il Jewish Chronicle, il più grande quotidiano ebraico in Gran Bretagna, rivela una serie di dettagli drammatici sulla missione che l’8 giugno ha portato al salvataggio dei quattro ostaggi israeliani.
In effetti, l’operazione ha avuto inizio ben prima dell’8 giugno.
Lo scorso 12 maggio, Israele ha ricevuto delle informazioni sul fatto che quattro ostaggi si trovavano nel campo palestinese di Nuseirat, nel centro della striscia di Gaza. Da quel momento, ogni ramo dell’intelligence israeliana si è concentrato sull’individuare la loro posizione esatta. Unità Mista’arvim delle forze speciali, che operano sotto copertura, si sono mescolate con la popolazione locale, principalmente nella zona del mercato di Nuseirat. Il loro compito era raccogliere informazioni dalla gente del posto e verificare le informazioni avute dai terroristi arrestati. Per raccogliere altri dati venivano utilizzati anche particolari strumenti tecnologici e mezzi per l’osservazione dall’alto.
Dopo 19 giorni di intensa collaborazione, i servizi di intelligence sono riusciti a ottenere informazioni precise sulla collocazione degli ostaggi. Si è scoperto che gli ostaggi erano tenuti in due edifici separati all’interno della stessa area. Noa Argamani si trovava al primo piano di un edificio, mentre gli altri tre ostaggi erano tenuti al terzo piano di un altro edificio a 800 metri di distanza.
All’inizio di giugno, pochi giorni prima dell’operazione, queste cruciali informazioni venivano presentate al gabinetto di guerra. Il capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane, Herzi Halevi, e il capo dei servizi di sicurezza, Ronen Bar, ricevevano l’incarico di mettere a punto un piano di salvataggio mantenendo le informazioni strettamente segrete. Neppure gli alti comandanti di Gaza furono informati. Una volta presa la decisione dal gabinetto di guerra, iniziarono i preparativi e l’addestramento per l’operazione.
Per verificare ulteriormente le informazioni e gettare le basi dell’operazione veniva inviata a Nuseirat un’altra squadra di soldati sotto copertura, tra cui donne vestite con hijab e lunghi abiti scuri. Arrivati a bordo di due vecchie auto cariche di oggetti domestici come le famiglie sfollate, ai residenti che facevano domande dicevano d’essere fuggiti dai bombardamenti su Rafah e di aver deciso di trasferirsi nel centro della striscia di Gaza.
Gli agenti sotto copertura sono riusciti a identificare l’edificio esatto in cui era detenuta Noa Argamani e hanno offerto a un abitante del posto una somma considerevole per affittare un’abitazione nello stesso isolato. Nel giro di poche ore hanno trovato una casa spaziosa vicina alla posizione di Argamani.
Dopo essersi sistemati e aver preso confidenza con la zona facendo anche acquisti al mercato, gli agenti si sono resi conto di non aver destato sospetti. Sono quindi passati alla ricerca di conferme della posizione degli ostaggi.
Si sono divisi in due squadre. Una squadra, composta da un uomo che si fingeva un tipico abitante di Gaza e una donna con hijab e lungo abito nero, ha passeggiato lungo la strada verso il centro medico Al-Awda, a 200 metri da dove era tenuta Noa e diverse centinaia di metri da dove erano tenuti gli altri tre ostaggi. Camminavano con indifferenza, come se fossero in una strada di casa loro. Per evitare sospetti, di tanto in tanto si fermavano alle bancarelle ed esprimevano qualche lamentela sulla “difficile situazione a Gaza”. Ovviamente entrambi parlavano perfettamente in arabo con l’accento di Gaza. Quattro agenti armati sotto copertura li seguivano per fornire protezione nel caso le cose avessero preso improvvisamente una piega pericolosa.
La seconda squadra comprendeva quattro donne soldato vestite da donne di Gaza, una delle quali fingeva di essere incinta. Portando borse piene di generi alimentari e camminando in coppia, in conformità alle norme sociali che vietano alle giovani donne musulmane di aggirarsi da sole, avanzarono verso l’edificio residenziale dove, al terzo piano, erano tenuti Shlomi, Andrey e Almog. Anche questa squadra era seguita da quattro agenti armati sotto copertura.
Nel frattempo, altri cinque agenti sotto copertura erano restati nella casa affittata per assicurarsi che rimanesse sicura e che le squadre non venissero scoperte. Tre ore dopo, all’orario prestabilito, le squadre sono tornate alla casa affittata e hanno iniziato a elaborare le informazioni raccolte: erano in grado di confermare che i quattro ostaggi erano tenuti in due diverse abitazioni famigliari, e queste cruciali informazioni sono state trasmesse in Israele.
A quel punto, ventotto commando Yamam hanno iniziato l’addestramento su due modelli appositamente costruiti che replicavano gli edifici in cui erano tenuti gli ostaggi. Dopo tre giorni di addestramento, il comandante ha informato il capo di stato maggiore che erano pronti. La leadership politica approvava definitivamente l’operazione il 5 giugno e agli agenti sotto copertura veniva ordinato di lasciare il campo palestinese con discrezione, mentre alcuni agenti rimanevano in zona per assicurarsi che gli ostaggi non venissero spostati.
Solo a questo punto vennero informati dell’operazione gli alti comandanti dell’esercito e altri membri del gabinetto.
La mattina di venerdì 7 giugno, ventotto commando Yamam iniziano a muoversi in due squadre verso i due edifici del campo di Nuseirat. Per mantenere l’elemento sorpresa, le unità si avvicinano a bordo di due camion non militari.
Poco prima delle 11.00 gli agenti arrivano esattamente sui due obiettivi e aspettano il segnale.
Utilizzando tecnologie di sorveglianza avanzate e il supporto dei velivoli dell’aeronautica, le forze di terra vengono informate che l’area è “sgombra”, senza movimenti sospetti vicino agli edifici. Dai veicoli sul posto vengono trasmessi aggiornamenti in tempo reale ai centri di comando e controllo in Israele, dove gli alti ufficiali supervisionano l’operazione.
Alle 11.00 in punto arriva l’ordine di procedere e i commando prendono d’assalto i due edifici contemporaneamente e in pieno coordinamento, per impedire ai terroristi di reagire contro gli ostaggi.
Nel giro di sei minuti, una delle due squadre elimina i terroristi che tengono prigioniera Noa Argamani e la portano sana e salva fuori dall’appartamento. Verrà poi riportata in Israele in elicottero.
Mentre il salvataggio di Noa si svolge senza intoppi, quello degli altri tre ostaggi, trattenuti al terzo piano di un edificio a 800 metri di distanza, risulta molto più complicato e difficile.
Sono prigionieri nell’abitazione del dottor Ahmad Al-Jamal, un medico affiliato a Hamas, insieme a suo figlio Abdullah, un giornalista che ha collaborato con Al-Jazeera. Una parte della squadra utilizza una scala per entrare direttamente nella stanza in cui si trovano Almog, Andrey e Shlomi, mentre altri fanno irruzione attraverso le scale dell’ingresso principale. Tuttavia, la squadra dell’ispettore capo Arnon Zamora, che è alla testa dell’assalto, incontra un forte fuoco da parte di una trentina terroristi di Hamas all’interno dell’appartamento armati di mitragliatrici e granate. E’ in questa fase che viene mortalmente ferito il comandante Arnon Zamora, alla cui memoria in seguito verrà intitolata l’intera operazione.
La presenza di ben trenta terroristi era inaspettata, gli agenti sotto copertura non ne avevano avuto notizia. E’ probabile che siano arrivati quella mattina o la sera prima per rafforzare la sorveglianza intorno agli ostaggi.
Ciò nonostante, i commando Yamam continuano a combattere con determinazione a distanza ravvicinata, affiancati da altri membri della squadra in attesa fuori dall’appartamento. I tre ostaggi devono nascondersi nel bagno dell’appartamento, protetti da diversi soldati, finché dura l’intensa battaglia. In quella fase, lasciare l’appartamento è impossibile.
Solo dopo un lungo combattimento, i commando Yamam riescono a eliminare tutti i terroristi e a portare fuori gli ostaggi. Contemporaneamente portano via il comandante Zamora, ferito gravemente, nella speranza di fare in tempo a salvargli la vita.
Ma non è ancora finita. Decine di terroristi escono da alcuni tunnel attorno all’edificio sparando con mitra e RPG ruolo contro l’unità che cerca di districarsi con gli ostaggi e il ferito su una barella. I commando cercano di disimpegnarsi correndo attraverso vicoli pieni di fumo, sotto il costante fuoco nemico.
Quando il loro veicolo viene colpito da due granate RPG, i comandi attivano il “piano B”: una prestabilita operazione di estrazione sotto pesante fuoco nemico, coperta da supporto terrestre, marittimo e aereo. Centinaia di paracadutisti e soldati della Golani e della Givati si lanciano all’assalto del campo, ingaggiando i terroristi di Hamas a distanza ravvicinata mentre alcuni attacchi aerei colpiscono i terroristi a soli dieci metri dalle forze israeliane.
I rinforzi e il supporto aereo riescono a isolare la zona della battaglia e a creare una via di fuga per l’unità principale che ha con sé gli ostaggi. Dopo un lungo scontro a fuoco, le minacce sono neutralizzate e l’unità evacuata in sicurezza con Shlomi Ziv, Andrey Kozlov e Almog Meir Jan. Purtroppo, per Arnon Zamora è troppo tardi.
Hamas sostiene che durante l’operazione sono stati uccisi più di 270 palestinesi, lasciando intendere che fossero quasi tutti civili non coinvolti.
Le Forze di Difesa israeliane riferiscono invece d’aver ucciso o ferito 104 palestinesi, tutti terroristi o civili armati che hanno aperto il fuoco contro le forze impegnate nel salvataggio degli ostaggi.
Israele. Net